Alcune mie elucubrazioni sulla durata della vita

Non so se qualcun’altro ha già fatto le osservazioni che sto scrivendo, probabilmente sì, ma io non ne ho notizia.

Pensando alla capacità che ha la selezione naturale di trovare, grazie al suo algoritmo di ottimizzazione random del tipo prova e ritenta, la soluzione migliore per ogni specie, mi sono convinto che la durata finita della vita di ciascun individuo sia una strategia (involontaria) che consente di massimizzare le possibilità di sopravvivienza delle specie.

Questa convinzione mi è venuta dal constatare che ogni specie ha una media di durata della vita peculiare, un topo 4 o 5 anni, un elefante 60/70, un leone una trentina, l’uomo settanta, alcuni grossi cetacei più di 150 anni.

Gli esempi fatti sono tutti di mammiferi, animali non troppo dissimili fra loro come fisiologia, eppure la durata della vita di ciascuno è molto differente. Tutti questi animali però presentano un andamento della loro vita simile, hanno una fase di gioventù, poi di maturità ed infine di vecchiaia, con modi di evoluzione assimilabili, ma con tempi ovviamente molto diversi.

Un animale vecchio, quale che sia la specie di cui fa parte (almeno tra i mammiferi), presenta delle caratteristiche tipiche di questa parte della vita, diminuzione delle forze, riduzione delle capacità sensoriali, diminuzione delle facoltà intellettuali (con gli ovvi distinguo che si debbono fare in questo argomento), aumento della vulnerabilità alle malattie. La differenza però è che in un uomo questo succede a sessant’anni in un cane a otto/dieci anni.

Eppure il modo di funzionare delle cellule e degli organi non è poi così dissimile, quindi perchè la durata della vita è invece così diversa?

La risposta che mi sono dato (e che forse è sbagliata) è che ogni specie ha una durata della vita ottimizzata per massimizzare le possibilità che la specie (non l’individuo) sopravviva il più a lungo possibile.

Un po’ come i replicanti di Blade Runner tutti i viventi hanno una data di scadenza, vivere di più della durata prevista non da vantaggio alla specie.

Sinceramente non ho dati scientifici che mi permettano di affermare che, per esempio, se i leoni vivessero cent’anni la specie andrebbe verso l’estinzione, però mi sento di affermare che ciò può essere verosimile.

Chiaramente le specie che hanno delle cure parentali lunghe dovranno avere una durata della vita compatibile con la possibilità di svezzare i propri figli, ma questa non è una spiegazione sufficiente.

Tornando all’esempio dei leoni, proviamo ad immaginare cosa succederebbe se la durata della loro vita raddoppiasse. Se il tasso di riproduzione rimanesse lo stesso sarebbe un grosso problema perché l’ambiente si dovrebbe trovare a sopportare un numero enormente più alto di leoni e questo non sarebbe un fattore favorevole prima per le prede, ma poi per i leoni stessi. Quindi per mantenere l’equilibrio ecologico servirebbe che la selezione operasse per ridurre il tasso di natalità. In questa maniera il quantitativo medio di leoni nell’ambiente sarebbe lo stesso.

Cosa accadrebbe però in caso di forti variazioni sull’ecosistema? Per esempio un lungo periodo di forti siccità, tale da ridurre il cibo per gli erbivori provocandone una forte diminuzione e quindi causando scarsità di cibo per i predatori e di conseguenza una riduzione di questi ultimi, leoni inclusi.

Al ritorno della normalità, il ridotto tasso di natalità dei leoni (dovuto come ricordiamo al fatto che gli abbiamo raddoppiato la durata della vita) permetterebbe alla specie di espandersi come prima oppure si troverebbe in difficoltà nella competizione con gli altri predatori?

A questa domanda non so dare una risposta, potrebbe servire una simulazione al computer (ne sarei capace, ma difetto di tempo e voglia) che comunque, per l’impossibiltà di simulare tutti i fattori reali, non darebbe alcuna certezza.

Vorrei a questo punto allargare il tema e parlare di malattie, in particolare di cancro, ma lo farò nei prossimi giorni, in uno sproloquio successivo.

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