Ci sono delle volte che la nebbia è così fitta che dall’argine maestro non vedi più i pioppi anche se è pieno giorno, neanche i primi filari, che stanno lì a pochi metri e c’è un silenzio irreale e non senti neanche il frusciare delle foglie perché quando è il tempo delle nebbie le foglie sono già tutte cadute. E la strada che dall’argine scende verso il fiume sparisce in pochi metri, nascosta da quel velo lattiginoso dentro cui tutto svanisce.
Quando c’è il nebbione nessuno è così matto da uscire con la barca, intanto perché si rischia di non ritrovare l’approdo e di perdersi e non orizzontarsi più, e comunque con la nebbia non si pesca nulla, ma soprattutto nessuno si avventura sul fiume perché dalle acque potrebbe uscire il Ganassone.
Se vai al bar a chiedere del Ganassone tutti si mettono a ridere e ti dicono che è un’invenzione di un povero ubriacone, però quando c’è la nebbia fitta nessuno ci va sul fiume a navigare, ma neanche a passeggiare sulla riva.
Dentro al bar ridono, ma se incontri qualcuno sull’argine e gli chiedi del Ganassone ti dice di fare silenzio, di lasciar perdere e velocemente si allontana scendendo dall’argine. Se in una giornata di nebbia come questa ne parli con il parroco, lui si sforza di sorridere, ti dice ma va là, ma credi ancora a ‘ste cose? Però appena te ne vai lui si gira e di nascosto si fa il segno della croce.
Di Agostino Girelli, il figlio del casaro, non ne vuole parlare nessuno, aveva sette anni, ora ne avrebbe quasi trenta. Faceva il chierichetto, era quaresima, uscì di corsa dalla canonica, c’era un gran nebbia anche allora, salì sull’argine e poi scese di corsa verso il fiume. Non fu mai più trovato. Il prete di allora, non questo, uno che adesso è nel pensionato dei preti anziani in città, gli corse dietro per riprenderlo, ma non riuscì a raggiungerlo. Era scappato perché non aveva voluto fare la penitenza dopo aver tirato un bestemmione in chiesa, almeno così spiegò il prete. Di Agostino non si trovò più nulla, solo i pantaloni vennero ritrovati, a primavera inoltrata, in mezzo alle rase, vicino alla riva.
Le ricerche continuarono per giorni, in mezzo ad una nebbia fittissima che non voleva andarsene, la madre era disperata e non se ne faceva una ragione. Sergione però lo disse subito, fin dal primo giorno, è inutile cercare, Agostino se l’è preso il Ganassone.
Sergione adesso riposa nel camposanto. Era l’unico ad averlo visto il Ganassone. Nessuno gli aveva mai dato credito, forse perché nessuno lo ricordava completamente sobrio.
Non spiegò mai quando avvenne l’incontro con il Ganassone né come fece a salvarsi. Pare che successe durante la guerra quando Sergione stava con i partigiani e combattevano i tedeschi.
Quando scendeva la nebbia, la nebbia spessa, quella che nasconde tutto, quella che attutisce ogni suono, che non si sente il verso di nessun animale, Sergione entrava nel bar, si toglieva il tabarro, si sedeva e diceva “incò al Ganassò al vien fora! Stiv atent!”. I presenti ridevano sguaiatamente e lo prendevano in giro, era diventato un tormentone comico. Lui beveva un paio di bicchieri di vino e se ne rimaneva zitto senza badare alle provocazioni.
Dopo il fatto di Agostino però nessuno ne rise più e, quando Sergione morì, del Ganassone non se fece più parola.
Eppure credetemi, incò al Ganassò al vien fora! Stiv atent!