Scesero in fretta dall’auto, malfermi sulle gambe. L’urto con l’albero al margine di quella sterrata di campagna aveva danneggiato irrimediabilmente il veicolo. Acqua e vapore uscivano dal radiatore spaccato.
Neppo trafficò per aprire il baule.
– Lascia stare – disse Zacchio – non c’è tempo.
– non ci penso proprio – rispose Neppo che intanto era riuscito ad aprire. Prese un pesante zaino di cuoio, se lo buttò sulle spalle e si mise a seguire Zacchio.
La campagna sembrava senza fine. Sterminati campi di mais costeggiavano la strada. Canali colmi di acqua stagnante. Carraie polverose. Nessuna abitazione in vista. Una leggera brezza trasportava un lontano suono di sirene.
– Muoviamoci – ordinò Zacchio inoltrandosi per una carrareccia.
– Comunque ci prenderanno – commentò Neppo.
– Non è detto, come fanno a trovarci in questo labirinto di mais? –
– Con i cani –
– si ma devono andarli a prendere e questo ci da tempo –
Camminarono per ore, il sole si alzò e diventò insopportabile, il sudore, la polvere, la sete, le mosche; continuarono a marciare fino al tramonto, l’aria divenne fresca, le zanzare si diedero il cambio con le mosche. La fame e la stanchezza si stavano facendo sentire.
– Sono quattordici ore che camminiamo – commentò Neppo – e non abbiamo incontrato altro che campi e canali. Non un’anima viva. Dove siamo finiti? Penso che abbiamo girato in tondo. –
– Non lo so, ma non abbiamo girato in tondo, quando siamo partiti avevamo il sole ci stava sorgendo in faccia e adesso ci sta tramontando dietro. Siamo sempre andati nella stessa direzione, verso nord est. Prima o poi dovremmo incontrare una strada. Ci facciamo prendere su da un camion o rubiamo un’auto ed è fatta. –
– fermiamoci qui per la notte – propose Neppo completamente sfinito
– no, non possiamo fermarci ora, ci arriveranno addosso prima dell’alba –
– ma non si sente nessuno, non ci sono voci né abbaiare di cani, avranno rinunciato –
– certo ci lasciano scappare così… –
– se ci volevano prendere perché non hanno usato gli elicotteri, dall’alto ci avrebbero individuato in poco tempo –
– non lo so, saranno stati impegnati, i piloti era tutti malati, non lo so, non li hanno usati? Bene per noi! Su andiamo, non possiamo fermarci. –
Camminarono ancora per poco più di un’ora. La notte era calata. Davanti a loro videro una grande fattoria illuminata. Si fermarono all’imbocco del lungo viale che conduceva alla casa.
– Le pistole? – chiese Zacchio
– Nello zaino – rispose Neppo
– passamene una –
Neppo estrasse un ferro dallo zaino e lo porse a Zacchio che lo infilò nella tasca interna del giubbotto. Neppo prese un piccolo revolver e se lo mise nella tasca dei pantaloni. Poi si incamminarono.
Una leggera brezza si era alzata portando con sé profumi di erba, di terra fertile e di fiori. Neppo pensò che si sentiva bene, bene come non gli capitava da anni, sentiva quel benessere immotivato che si prova in gioventù quando il futuro appare come il tempo delle possibilità. Quando ci si lascia trasportare dalla vita placidamente, senza affanni, senza sapere che quei momenti irripetibili stanno per finire.
Anche Zacchio era di buon umore e fischiettava.
Nessuno si vedeva nella casa, nemmeno un’ombra che si muovesse dietro le finestre illuminate né una figura che uscisse nel cortile.
Avanzando si accorsero che proprio dietro alla casa scorreva un grande fiume. Era buio e non si distingueva bene. Sul fianco della casa si intravvedeva un imbarcadero dove un’imbarcazione era ormeggiata. Forse un traghetto per passare sull’altra sponda.
Arrivati davanti all’ingresso della casa Zacchio infilò la mano nel giubbotto e Neppo in tasca, così da avere le armi in pugno pur tenendole nascoste.
Neppo aprì la porta con la mano sinistra ed entrarono. Furono in grande salone illuminato con grandi candelabri. Un grande tavolo di legno sotto alle finestre. Un enorme camino attorniato da poltrone. Uno scrittoio in un angolo.
Cigolando si aprì una porta di legno. Zacchio e Neppo erano pronti a spianare le pistole e a sparare se ce ne fosse stato bisogno.
Dalla porta entrò un vecchio imponente, ben vestito, con la barba bianca, i capelli grigi e radi e due occhi vividi e luccicanti, come se vi fosse un fuoco acceso dentro.
– vi stavo aspettando –
– sapevate che stavate arrivando? – chiese allarmato Zacchio
– certo –
– è una trappola? –
– non so, forse possiamo dire così… –
Neppo trasse la pistola e la puntò verso il vecchio – niente scherzi! –
– dobbiamo andarcene subito! – esclamò Zacchio – Vecchio, ho visto una barca ormeggiata, portaci sull’altra riva del fiume, poi ti lasciamo andare, se non fai scherzi non ti faremo nulla, va bene? –
– D’accordo – rispose il vecchio che non sembrava affatto turbato.
I tre uscirono e si diressero al piccolo molo. Il vecchio si mise al timone. Mollarono gli ormeggi. La corrente era placida. Il fiume era molto largo, ma grazie all’abilità del vecchio, in poco tempo raggiunsero il piccolo molo dell’altra riva.
I due scesero a terra. La notte era diventata scura. Non si vedeva molto, l’aria era fredda, il terreno fangoso, Neppo fu preso da una certa inquietudine.
Il vecchio li osservava mentre sbarcavano.
– hai fatto bene il tuo lavoro, vecchio – disse Zacchio – come ti chiami? Se dovessimo tornare vorremmo ringraziarti –
– non tornerete, il mio nome è Caronte. – disse remando contro corrente nelle placide acque dello Stige.